Cosa c’è di nuovo nella sindrome del QT Lungo

La terapia principale della Sindrome del QT Lungo (LQTS) è la terapia che riduce la stimolazione dell’adrenalina al cuore e quindi il farmaco di scelta è il betabloccante che ha dimostrato una efficacia nella riduzione degli eventi aritmici nella popolazione di pazienti con QT lungo. L’utilizzo di un dosaggio pieno di betabloccanti è raccomandato nella maggior parte dei pazienti con alcune rarissime eccezioni da considerare caso per caso. I due betabloccanti più usati sono il Propranololo ed il Nadololo. Il Propranololo, pur essendo altamente efficace, richiede almeno tre somministrazioni al giorno e questa sua caratteristica lo rende un farmaco “scomodo” da utilizzare. Recentemente il gruppo del Prof. Schwartz ha pubblicato un lavoro che ha dimostrato, su un piccolo gruppo di pazienti LQTS, la maggior efficacia della terapia con Nadololo rispetto a quella con Metoprololo. La maggior efficacia del Nadololo era già stata sottolineata da chi per anni si è occupato dei pazienti affetti da LQTS e quindi l’utilizzo del Metoprololo dovrebbe essere limitato ai pazienti in cui è necessario utilizzare un farmaco selettivo per la presenza di patologia asmatica grave.

Un altro elemento innovativo nella gestione dei pazienti affetti da LQTS, è stato dato dall’osservazione che, a seconda del tipo genetico, esistono diversi fattori che possono scatenare le aritmie e vi è una differente risposta alla terapia betabloccante. Ai pazienti portatori di LQT1, poiché gli eventi si verificano durante attività fisica intensa, andranno date delle limitazioni maggiori per quanto riguarda l’attività sportiva e la terapia betabloccante richiederà a volte dei dosaggi superiori. Nei pazienti LQT2 spesso le aritmie si scatenano per emozioni violente o per risveglio improvviso con stimoli acustici, per cui sarà utile avere una particolare attenzione ad evitare questi elementi e a volte è utile garantire una maggiore protezione nelle prime ore del mattino con una somministrazione aggiuntiva di betabloccante serale (si decide quale comportamento terapeutico tenere basandosi su monitoraggio Holter frequente). Infine i pazienti LQT3 non sono protetti dalla terapia β-bloccante quanto gli altri due sottogruppi genetici e quindi terapie addizionali divengono necessarie: la mexiletina che è un farmaco bloccante del canale del sodio, è in grado di ridurre in maniera significativa la durata del QT e riducendo, così il rischio di aritmie.

Gli sforzi dei ricercatori sono oggi volti a curare il paziente non solo in base al gruppo genetico (LQT1, LQT2, LQT3), ma addirittura in base alla specifica mutazione. La mutazione viene studiata “in vitro”, cioè introdotta in cellule che permettono di studiare come la corrente viene modificata in presenza della mutazione. Una volta creato il modello ”in vitro” è possibile studiare l’effetto del farmaco in quel singolo caso: sapremo, perciò, come questa alterazione venga modificata dall’utilizzo del farmaco. Si può dire che stiamo andando incontro ad una terapia sempre più “personalizzata” con farmaci che verranno in futuro modellati sulla base del difetto genetico del paziente. Non si parla di terapia genetica, ma sicuramente una terapia altamente gene specifica: i limiti sono i lunghi tempi ancora richiesti da questo tipo di studi, ma i vantaggi che ne derivano sono a volte fondamentali per permettere una gestione delle terapie nei casi più complessi.

Dr. Fabrizio Drago
Responsabile UOC di Aritmologia
Ospedale Pediatrico Bambino Gesù
Palidoro-Fiumicino-Roma”